
Nella foto il Coregone Lavarello
Nel momento in cui pubblichiamo l’articolo, nell’incubatoio ittico sito a Clusane d’Iseo sono nati e sono già stati rilasciati i primi avannotti di Coregone. La campagna ittiogenica 2024/2025 si è svolta nel miglior modo possibile, grazie al lavoro in sinergia di più attori. Al momento i dati ufficiali non sono ancora noti, si aspetta infatti di avere qualche notizia ufficiale tramite la conferenza stampa che verrà indetta non appena saranno rilasciati gli ultimi esemplari.
Si sente parlare molto spesso di questo pesce, chi bazzica sui laghi lombardi non può non conoscerlo sia per la prelibatezza delle sue carni (un pesce veramente fresco all’olfatto ha l’odore che ricorda vagamente quello dell’ostrica, la carne è di un bianco candido, di un sapore delicato e di una consistenza morbida, poche inoltre sono le spine), sia per la bellezza estetica (un corpo proporzionato in una figura filiforme e un colore di un argento vivace). Ultimamente però è sulla bocca di tutti poiché una normativa europea ne vieta l’immissione non giustificata nei laghi. Infatti, poiché è stato inserito tra le specie non autoctone o para-autoctone, il rilascio è vietato salvo il rispetto di alcuni parametri.
Il lago d’Iseo è riuscito, grazie ad un lavoro che ha coinvolto il Comune d’Iseo durante l’amministrazione Ghitti e la Regione Lombardia durante l’assessorato di Fabio Rolfi, a porre le prime basi perché si parlasse con l’ISPRA della possibilità di avviare l’iter per il ritorno delle campagne ittiogeniche ed il rilascio del Coregone. Una svolta decisiva si è avuta con la nomina al Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste di Francesco Lollobrigida, il quale, insieme al nuovo assessore regionale Alessandro Beduschi e al consigliere Diego Invernici, ha permesso lo sciogliersi degli ultimi dubbi e delle ultime riserve.
La novità sta nel fatto che quella che si sta effettuando non è solo un’immissione fine a sé stessa, ma per la prima volta è affiancata da una serie di studi che servono a dimostrare l’impatto del coregone nell’habitat lacuale iseano. È forse questo uno dei modi più oculati per affrontare le campagne di immissione di specie definite “non autoctone”.
Chi vi scrive non ha paura di affermare che la presenza nel Coregone nel lago d’iseo è di vitale importanza. Ci sono svariati motivi per credere in tale affermazione; provando a ragionarci, provo a sintetizzarvi alcuni brevi concetti che spero siano utili per portare ad una riflessione propositiva in chi legge.
Innanzitutto categorizzare i pesci in autoctoni, para-autoctoni e non autoctoni basandosi su una data è dal mio punto di vista sbagliato. Certamente chi ha applicato questo concetto, identificando il XV secolo come spartiacque, lo ha fatto per semplificare il sistema che si sta cercando di applicare in Europa di difesa della biodiversità. Purtroppo, applicando tale logica, non si tiene conto di numerosi fattori come la crescente pressione demografica sugli specchi lacustri, la presenza di altre specie non autoctone (Siluro, Carassio, Luccio perca, Gambero rosso della Louisiana), che stanno colonizzando le nostre acque e la crescente presenza di uccelli ittiofagi mai stata così cospicua come negli ultimi tempi.
Geneticamente parlando, le specie presenti nel XV non sono quelle presenti attualmente, infatti le semine di avannotti svolte nel corso degli anni hanno permesso una mescolanza genetica fra ceppi italici con ceppi dell’Est Europa.
Il Coregone è poi necessario, poiché essendo un pesce che dimostra proprietà organolettiche non indifferenti, può essere a buon ragione annoverato come una risorsa alimentare di una certa importanza. La ristorazione lo ha nobilitato a tal punto che è presente nei menù di ogni ristorante lacuale. In un momento storico come questo, in cui la filiera mondiale del pesce sta assistendo ad un calo drastico delle catture ed a un costante impoverimento dei mari e dei laghi, con conseguenti rialzi a tratti disarmanti dei prezzi, privarsi del tutto di una risorsa di tal genere è una scelta miope se non scellerata.
Il Coregone, dato il mercato fiorente, svolge anche il ruolo di, mi si passi l’utilizzo del termine, “specchietto per allodole”. Dato esplicativo ci arriva dal Garda, dove finché c’è stata nel lago una presenza discreta di tal pesce, i pescatori professionisti e dilettanti si sono concentrati sulla cattura di tale specie permettendo in tal modo alle altre di proliferare. In pratica un pesce non autoctono, ha permesso alle specie autoctone di avere una relativa tranquillità, poiché maggiore è il tempo dedicato alla pesca del Coregone minore è il tempo dedicato alla pesca di Agoni, Tinche, Lucci, Persici etc. Viceversa, minore è il tempo dedicato al Coregone e maggiore sarà la pressione su quelle specie identificate come autoctone.
Il Coregone è il pesce che forse maggiormente sta dando una risposta concreta e positiva, in tempi relativamente brevi, alla sua immissione nel lago. Dallo stato larvale servono circa quattro anni perché raggiunga le dimensioni adatte per la sua pescabilità e per la sua commercializzazione.
Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione che un pescatore dovrebbe elaborare; ogni azione ha certamente una sua conseguenza, soprattutto in un ambiente delicato e oggigiorno maltrattato come quello dei laghi. Ma non possiamo nasconderci e non affrontare certe tematiche analizzandole attraverso la lente della critica. Cancellare con un colpo di spugna o una normativa europea, da un anno all’altro, l’equilibrio fra pescatore di lago e natura che si è creato nel corso di un secolo, equivale a voler cancellare un pezzo di storia e di tradizione. Ben venga l’innovazione, purché affronti con criterio e prudenza le problematiche.
Raffaele Barbieri